La repubblica ed. Genova del 10 Maggio 2011 ha scritto:RAPALLO (Genova)
Il Passo del Bocco è un cancello del cielo. Mille metri,maalti come le Ande
e lontani come la Patagonia.
Faggi e querce, felci e porcini.
Quando Wouter Weylandt conclude
la prima guglia di un Giro
irto come una cattedrale gotica,
l’ultimo pensiero che gli attraversa
la testa protetta dal casco
è che quel luogo, quel bosco,
quella discesa diventino la
sua tomba. In cima al Bocco c’è
il rifugio Antonio Devoto, che
per tutto maggio—il mese della
primavera, e del Giro d’Italia
—ospita una mostra su un antico
gregario di Gino Bartali, si
chiamava Angelo Brignole, e
veniva da lì, da Borzonasca, un
paese appeso tra creste e torrenti.
Il Bocco è un cancello del
cielo anche per i ciclisti. Chi si
arrampica dalla Liguria, poi si
affaccia sulla valle del Taro, e
già sente il richiamo della pianura.
Chi sale dall’Emilia, poi
precipita nella Valle Sturla, e
già sente il profumo del mare.
Quando il gruppo varca il cancello
del cielo e precipita nella
Valle Sturla, manca neanche
una trentina di chilometri al
traguardo. La corsa deve ancora
nascere. I giochi si fanno duri
e, siccome i corridori sono
dei duri, è qui che cominciano
a giocare.
Attimo fatale La discesa è invitante,
seducente, pericolosa.
Una Maga Circe della strada:
se l’ascolti, se la segui, rischi di
innamorartene e sbandare. La
pendenza tra il 5 e il 7 per cento,
l’asfalto nuovo, il bosco come
una scena teatrale: tutto
spinge a dimenticare i freni e
farsi conquistare dall’ebbrezza
della velocità. E poi c’è la corsa:
passione e professione,
amore e mestiere. Wouter Weylandt
scende a 70, forse 80 all’ora.
Si volta, forse per controllare
chi lo stia seguendo, e a
quanto. E’ un attimo, ma fatale.
Perché quando si riconcentra
sulla strada, il fiammingo si
scopre a un niente da un muretto,
quello—scendendo—che
sulla sinistra protegge la strada
dal bosco. Weylandt frena,
blocca, lascia i segni delle gomme
sull’asfalto, ma non è abbastanza
per non sbattere con il
pedale sinistro contro il muretto.
Il pedale si disintegra. Weylandt
e la bici saltano per aria,
poi rimbalzano sull’asfalto. Distanziati.
Weylandt 10-15 metri
davanti alla bici, adesso tutti
e due sulla parte destra della
strada. E tutti e due, Weylandt
e la bici, immobili, inerti, inermi,
in posizioni innaturali, come
travolti da uno tsunami.
Weylandt, è come se gli si fosse
esplosa la faccia: una frattura
frontale esposta, lo sfascio del
maxillo facciale, lo sfondamento
della base cranica, poi gambe,
poi polmoni, poi sangue,
sangue, una pozza di sangue.
Soccorsi inutili Sono le 16.20.
L’Sos è immediato. I corridori
che seguono Weylandt assistono
atterriti, forse si voltano dall’altra
parte per non farsi contagiare
dalla paura o per respingere
quel senso fraterno che
tutti lega e tutto collega, o forse
pregano il dio del ciclismo di
dare una mano a questo
uno-di-noi. Poi sopraggiunge
la Yamaha XXJ6 600 rosa di Federico
Roganti, al terzo Giro, al
primo per Radiocorsa. Roganti
si ferma, comunica che c’è stata
una caduta, che c’è un uomo
a terra, intanto cerca di individuarne
il numero dorsale, impossibile
perché il corridore è a
pancia in su, allora guarda la
targhetta sulla bici, è il 108, e
lo specifica, e lo ribadisce. Si
ferma anche la macchina con
Rosella Bonfanti, assistente
del direttore di corsa, e lei chiamail
medico. E quando la macchina
del medico di corsa inchioda
e il professore Giovanni
Tredici, con uno specialista in
emergenza e con Shannon
Sowndal medico della Garmin,
si piega su Weylandt, saranno
trascorsi 15", al massimo 20"
dalla caduta. E un minuto e
mezzodopo gli specialisti in rianimazione
del centro mobile
sono già lì. Ma Weylandt non
respira più. Weylandt è morto.
Per 45 minuti Tredici e i rianimatori
si prodigano su Weylandt:
intubazioni, massaggi cardiaci,
defibrillatore, iniezioni di
adrenalina e atropina. Quando
l’elisoccorso di Genova atterra,
il medico del 118 annulla il volo
all’Ospedale San Martino. Il
cuore di Weylandt è fermo, il
resto è esploso. Sono le 17, e
non c’è più niente da fare. Eppure
la vita, tranne quella di
Weylandt, continua.
Campane a morto Lo spagnolo
Vicioso che vince la tappa, il britannico
Millar che guida la classifica,
la comunicazione ufficiale
della morte alle 17.24, le
campane di Rapallo che alle 19
suonano a morte, il fotografo
inglese Graham Watson che
cancella gli scatti fatti all’amico
a terra prima di averlo riconosciuto,
il patron del Giro Angelo
Zomegnan che alle 19.30
si rimette alla volontà dei compagni
di Weylandt e degli altri
corridori sulla tappa del giorno
dopo, lo stesso Zomegnan che
alle 20 va all’aeroporto della
Malpensa per accogliere alle
21.30 la compagna e i familiari
di Weylandt, il corpo del corridore
portato nella camera mortuaria
di Lavagna, l’autopsia
programmata già oggi, il magistrato
che chiede testimonianze
ai corridori, e la Polisportiva
casa della gioventù e delle opere
sociali - a metà fra palazzetto
e palestra, sede di arti marziali,
arco, ginnastica, pallamano,
pallavolo e tennistavolo -
che da quartiertappa di vita diventa
quartiergenerale di morte.
Il Passo del Bocco è un cancello
del cielo. Ma stavolta, tra
il paradiso e l’inferno, il cancello
era rimasto socchiuso.
RAPALLO
Il podio vuoto, la musica spenta, il Giro
in lacrime. Wouter Weylandt era un ragazzo
di 26 anni che stava per diventare papà di una
bambina. E nella storia rosa aveva un piccolo record:
nel 2010, a Middelburg, si era imposto nella
tappa del Mare del nord, mai toccato prima
dalla corsa Gazzetta. La fatalità se l’è preso a
27,5 km dall’arrivo. Ore 16.20. Abbiamo pregato,
dopo quelle immagini violente che non fanno
parte dello sport. Abbiamo pensato allo spagnolo
Horrillo, finito nel 2009 in un burrone nella
discesa dal Culmine di San Pietro nella tappa di
Bergamo, e riemerso dagli alberi dopo un volo di
80 metri. Invece Weylandt è morto sul colpo.
Famiglia La carovana si è fermata. In gara, i corridori
non sapevano nulla, ma appena arrivati è
calato il silenzio. Via le miss, annullato il cerimoniale.
Nel momento più difficile, il mondo del
ciclismo ha mostrato il suo volto autentico, fatto
di amicizia, sofferenza, unione. «Non c’è nulla
da festeggiare, oggi è un giorno triste» ha detto
subito Angelo Zomegnan, direttore del Giro,
quando ancora non era ufficiale la morte. E poi:
«Esprimiamo il nostro cordoglio alla famiglia di
Wouter e ringraziamo il professor Tredici e la
sua equipe per tutto quello che hanno potuto fare
per salvarlo. Non abbiamo voluto dare la notizia
della morte prima che i familiari fossero informati.
La signora Weylandt stava andando a casa
e l’avrebbe saputo via radio». Ieri sera, Zomegnan
è andato a Malpensa ad accogliere il papà e
la fidanzata: in mattinata ci sarà l’autopsia all’ospedale
di Lavagna. Si è mossa anche la Procura
di Chiavari: già ieri sera sono stati sentiti
il professor Tredici e alcuni atleti.
Tributo Oggi la tappa verrà neutralizzata.
Ci sarà un minuto di raccoglimento
di tutta la carovana. Poi, a due a due,
i corridori inizieranno a pedalare sino
a Livorno. Sul traguardo passeranno
in prima fila le 4 maglie (rosa,
verde, rossa e bianca) e i compagni
di Weylandt, che hanno
deciso di onorarlo restando in
gara. Come avvenne a Pau il
19 luglio 1995, il giorno
dopo la tragedia di Casartelli
al Tour. Il papà
di Wouter ha chiamato
ieri notte Luca Guercilena,
il d.s. della Leopard:
«Dovete continuare per
lui».